Gicherstampa utilizza nel proprio processo di stampa “VFPROTECT”

 

Per offrire un servizio ed un prodotto di qualità e sicurezza, Gicherstampa utilizza nel proprio processo di stampa “VFPROTECT”, vernice trasparente antibatterica che limita in modo permanente la proliferazione di batteri e anche il SARS COV-2 responsabile del Covid-19, non influenzando minimamente il colore e la trasparenza quando stampato in serigrafia su substrati non porosi.

Le performance antibatteriche di VFPROTECT sono state validate e testate dall’ IMSL (laboratorio di microbiologia responsabile dello sviluppo del metodo ISO 22196 (adattamento del metodo Giapponese JIS Z2810).

Gli ingredienti attivi del VFPROTECT sono stati testati in accordo con la ISO 22196 del 2011 contro i comuni ceppi batterici elencati di seguito:

  • MRSA (S.Aureus)
  • Campylobacter
  • E.coli
  • Listeria
  • MRSA
  • Pseudomonas
  • Salmonella

 “E’ provato che riduce la crescita di questi batteri fino al 99.99%”.

 VFPROTECT ha dimostrato di essere efficace contro il SARS COV-2 su superfici non porose. Testato in accordo con la ISO 21702 nel 2019, si osserva una riduzione del SARS COV-2 più del 73% dopo 6 ore e più del 90% dopo 24 ore rispetto ai campioni testati. I nostri test antivirali sono eseguiti in un laboratorio indipendente Italiano accreditato dal laboratorio Sierologico che opera nel rispetto delle linee guida internazionali Good Clinical Laboratory Practice Guidelines (GCLP, ISBN 978-1- 904610-00-7).

Inoltre , la riduzione della carica virale grazie alla stampa di VFPROTECT su superfici non porose è stato convalidato come funzionante contro la variante Italiana SARS-COV-2_COV2019 ITALY/INMI1.

VFPROTECT è registrato e approvato dalle seguenti legislazioni sui biocidi come sotto indicato:

  • Biocidal Products Regulation (BPR)
  • Food and Drug Administration (FDA)
  • Environmental Protection Agency (EPA)

COME LAVORA QUESTA VERNICE?

1) L’additivo antimicrobico nella nostra vernice si lega alle membrane

cellulari per interrompere la crescita

2) Il principio attivo della nostra vernice interferisce con la produzione di enzimi

bloccando la produzione di energia delle cellule

3) Il principio attivo interrompe il DNA dei batteri, impedendo la replicazione stessa del DNA

QUALI SONO I VANTAGGI?

Protezione antimicrobica durevole e limitazione del SARS COV-2

  • Vernice Non-CMR
  • Privo di Nano-materiali
  • Forte adesione e alta high tolleranza meccanica
  • Principio Attivo senza bisogno di luce
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Le Etichette, la storia – Olio, Aceto e Salse

Fin dal tempo dei romani l’impiego di olii e spezie per insaporire il cibo ha costituito parte integrante dell’arte culinaria.

La gamma delle spezie si ampliò dopo il 1550, allorché vennero aperte le “vie delle spezie” tra l’Oriente e l’Occidente.

Cent’anni dopo nasceva la Compagnia delle Indie, società inglese che nell’Ottocento aveva ormai introdotto in Inghilterra ogni varietà di sottaceti, salse, spezie e aceti, anche se questi erano unicamente a portata dei consumatori più agiati. In breve tempo, tuttavia, il mercato fu invaso da molti preparati, prodotti in Gran Bretagna, come ad esempio la salsa alle ostriche della ditta Burgess, la salsa Lea&Perrins’ Worchestershire Sauce basata su una ricetta bengalese del 1837.

Due delle salse più famose – HP e Daddie – apparvero sul mercato relativamente tardi: la salsa HP venne rilanciata nel 1903 e nello stesso anno venne registrato il marchio della salsa Daddie, che subito venne messa in commercio. Le ricette di queste salse erano state acquisite nel 1899 da Frederick Garton, che aveva trascritto la ricetta segreta della salsa HP nella sua agenda nel 1894 e che presumibilmente iniziò da quell’anno a produrla. Per quanto riguarda l’olio va detto che nell’antichità l’olivo era la pianta più amata e venerata, tanto che chi avesse abbattuto un olivo, veniva condannato alla pena di morte. L’olivo è originario dell’Asia Minore: dall’altopiano dell’Iran, dalla Siria e dalla Palestina si diffuse, qualcosa come 5000 anni fa in tutto il Bacino del Mediterraneo.

Nell’isola di Creta lo si coltivava già nel 3000 a.C., in Spagna si pensa sia apparso verso il V secolo a.C., in Egitto nel II secolo, in Palestina nel I. In questo periodo, secondo la testimonianza di Plinio, l’Italia raggiunse la più alta produzione di olio.

L’etichetta dell’olio di oliva di oggi è più che mai importante, poiché raccoglie le informazioni sulla storia del prodotto e, come tale, deve rappresentare il “biglietto da visita” dell’olio di oliva presentato al consumatore finale.

L’etichetta deve pertanto fornire le necessarie informazioni per comprendere l’identità del prodotto, il suo livello di qualità e, possibilmente, le indicazioni sulle peculiari caratteristiche e sulla provenienza dell’olio.

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Le Etichette, la storia – Food

Il padre dell’industria conserviera è senza dubbio il francese Nicolas Francois Appert (1750-1841), un pasticciere-chef che nel 1795 riuscì a mettere a punto un sistema di sterilizzazione che bloccava la fermentazione e la putrefazione degli alimenti, in particolare della carne: questa tecnica (che dal nome del suo inventore fu detta “appertizzazione”) consisteva nel bollire i prodotti, carni o verdure, riporli in un contenitore di vetro sigillato con la pece e sottoporre lo stesso ad ulteriore bollitura in acqua.

Le conserve in scatola avevano come principale funzione quella di garantire un consumo sicuro e prolungato nel tempo degli alimenti: poco importava se le loro caratteristiche nutrizionali e sensoriali fossero alquanto scadenti.

Solo più tardi, intorno al 1860, le ricerche sui microrganismi del biologo francese Louis Pasteur consentirono di elaborare una spiegazione scientifica della sterilizzazione degli alimenti mediante l’uso del calore

Attualmente la conservazione risponde a tre esigenze principali. La prima che ha modificato il metodo della conservazione è quello della trasportabilità dei prodotti alimentari. Un secondo aspetto è di poter contare su approvvigionamenti regolari, quindi non più legati alla stagionalità, ma costanti nel corso dell’anno. Il terzo importante aspetto ha una connotazione più “sociale” legato al modo di vivere della popolazione contemporanea: il tempo che si può dedicare all’acquisto, alla preparazione, alla cottura ed anche al consumo dei cibi, diventa oggi sempre meno.

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Le Etichette, la storia – Liquori & Bevande – Birra

Le origini della birra sono antiche e risalgono a circa 13.000 anni fa, quando l’uomo cessò di condurre una vita da nomade e si stabilì in maniera fissa sul territorio, cominciando a coltivare cereali come il frumento. Le prime testimonianze nella storia della preparazione di una bevanda simile alla birra da parte dei Sumeri, gli abitanti della fertile fascia di terra tra il Tigri e l’Eufrate, sono datate all’incirca a 6000 anni fa. Si narra che il processo di fermentazione fu scoperti per puro caso; sebbene nessuno sappia con precisione come accadde, si suppone che del pane o del grano macinato furono lasciati per sbagli ad inumidire. Successivamente il pane cominciò a fermentare trasformando la mollica in una pasta inebriante.

Gli Egizi proseguirono nella tradizione birraria, migliorandone la tecnica ed affinando il gusto del prodotto. La birra continuò ad esser prodotta anche da Greci e Romani. Plinio parla della popolarità della birra nel bacino del Mediterraneo ancor prima del vino e della vite. Ad ogni modo, sebbene a Roma la birra fosse considerata una bevanda barbara e soppiantata dal nettare degli dei, il vino (e dal suo dio, Bacco), questa continuò ad esser prodotta negli altri territori dell’Impero dove risultava difficile coltivare le viti ed ottenere il vino. Veniva prodotta la birra “leggera”, adatta ad esser consumata quotidianamente, e la birra ad alto contenuto alcolico, destinata alle occasioni speciali.

Nei primi decenni del secolo scorso in Gran Bretagna il commercio della birra fu incoraggiato da due importanti eventi: nel 1830 venne abrogato il dazio sulla birra e nel 1834 fu abolito il dazio sul vetro. Fino ad allora i clienti dovevano portare con sé le proprie bottiglie quando volevano acquistare della birra, ma da quel momento i birrai poterono permettersi di imbottigliare essi stessi i loro prodotti. Con l’incremento del commercio, divenne necessario escogitare un metodo più efficiente per contrassegnare la bottiglia col nome del birraio e del prodotto contenuto.

La soluzione fu l’impiego di etichette stampate, che cominciarono a essere usate nei primi anni Quaranta dell’Ottocento. Avevano forma circolare e erano stampate in bianco e nero. Negli anni Ottanta si optò per la forma ovale. Ci deve essere stato un periodo in cui i fabbricanti di birra temevano che dei truffatori riciclassero le bottiglie vuote: infatti nel corso degli anni 1880-90 le etichette Whitbread portavano la scritta: “dopo l’uso si prega di distruggere l’etichetta”.

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Le Etichette, la storia – Liquori & Bevande – Vino

Probabilmente la prima etichetta, o meglio, quella che potrebbe essere considerata l’etichetta ante litteram è stata ideata dagli antichi Egizi che la apponevano sulle anfore contenenti vino dopo la loro sigillatura con fango e argilla. Le anfore erano rastremate alla base e sulla chiusura venivano iscritti i dati relativi al contenuto, l’anno di produzione, la provenienza, il nome del produttore. Inoltre su alcune anfore si legge “vino rosso delle migliori uve”. Anche in Grecia, sulle anfore era normalmente citata la provenienza: vino di Cipro, vino di Lesbo, vino di Rodi, vino di Prammo, vino di Chio, ecc. Così pure a Roma le anfore, dopo essere state sigillate, erano inscritte con nome del vino (es. Falerno Massico), nome del Console e numero delle anfore prodotte con quelle determinate uve.

Nel 400 d.C. in Francia e Germania erano diffusi i vigneti. Nel corso del XVII secolo, con l’impiego di turaccioli in sughero, la qualità del vino conobbe un netto miglioramento. Le bottiglie in quest’epoca avevano lunghi colli e basi ampie e panciute; nel 1800 la bottiglia del vino aveva ormai assunto la forma a noi familiare che si vede normalmente nei negozi e si cominciarono a usare le etichette. Per quanto riguarda l’Italia, i primi utilizzatori di etichette furono i produttori piemontesi, fornitori di Casa Reale e quelli siciliani.

Le etichette italiane del XIX secolo, non esaltavano in genere la qualità o l’unicità del vino, ma concedevano ampio spazio alla fantasia e traevano spunto dalla vita contadina o dall’araldica, riproducevano stemmi o medaglie appartenenti alle famiglie produttrici, ma con il passare degli anni l’esigenza dei produttori di identificazione dei propri prodotti andò sempre più aumentando, ed ognuno cercò, soprattutto nel campo dei vini liquorosi e fortificati, di realizzare etichette che mettessero in bella mostra menzioni d’onore, medaglie, trofei e targhe guadagnate nel corso di esposizioni e fiere.

Le prime etichette del vino erano improntate a uno stile tradizionale. Si presupponeva che il conoscitore trovasse ispirazione nel bouquet e nel sapore piuttosto che nell’etichetta. Oggi le etichette dei vini esibiscono una maggiore varietà di stili, e indicano sempre la località geografica del vigneto e l’annata di produzione.

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Le Etichette, la storia – Liquori & Bevande

L’alcool è conosciuto da tempi antichissimi. È probabile che già i coltivatori e i cacciatori della preistoria conoscessero gli effetti “stupefacenti” dei frutti fermentati.Sicuramente gli egizi conoscevano già la birra e il vino. Sembra che i cinesi distillassero alcolici dal riso già attorno al 1000 a.C., ma l’invenzione della distillazione di alcolici dai cereali avvenne in Europa verso il 1100 d.C.. Ci vollero comunque altri quattrocento anni perché si raggiungessero risultati accettabili. L’arte della distillazione veniva praticata dai monaci e dagli speziali, che mischiavano alcolici alle loro pozioni. In Inghilterra, soppressi i monasteri per decreto di Enrico VIII nel 1539, gran parte di queste conoscenze andò dispersa; solo più tardi, poco per volta, cominciarono ad affermarsi le prime distillerie commerciali.

Fu solo negli anni Cinquanta dell’Ottocento che si procedette a imbottigliare individualmente whisky e gin: divenne allora necessario etichettare le singole bottiglie. In alcuni casi i produttori avevano le proprie etichette, in altri le acquistavano da qualche stampatore locale. Un alcolico è più di un prodotto chimico: spesso è il risultato di storie, decisioni e leggende interessanti, riassunte (e sfruttate) dalle loro etichette. L’alcool è da sempre considerato una sostanza prelibata, stupefacente e nutritiva, tanto che la parola stessa significa “il meglio di una cosa” nella sua origine araba.

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Le Etichette, la storia – Adattamenti dell’Etichetta

Nel tempo, con l’aumento dei prodotti preconfezionati, il produttore si assunse anche la responsabilità della vendita della sua merce, con campagne pubblicitarie a livello nazionale sui giornali e mediante affissione di cartelloni. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento la marea sempre crescente di nuovi prodotti fu accompagnata da un cumulo di materiale di réclame destinato ai punti vendita al dettaglio: volantini pubblicitari, tagliandi, depliants…

All’epoca non era consentito far figurare messaggi promozionali direttamente sulla confezione. Il design dell’imballaggio era fisso, si aggiornava con attenzione evitando di sfigurarlo con “volgari” annunci di offerte che ne avrebbero alterato l’immagine complessiva. Nei successivi quaranta anni i produttori iniziarono a infilare i loro messaggi promozionali per ogni prodotto dentro ai doppi imballaggi o sotto i coperchi di latta. Negli anni Trenta alcune ditte avevano già cominciato ad aggiungere “flash” direttamente sull’imballaggio.

Tuttavia, fu con l’avvento dei grandi magazzini self service negli anni Cinquanta che il messaggio promozionale si ritrovò totalmente affidato all’etichetta. Il rivenditore non aveva più alcun controllo diretto sugli acquisti del cliente, che sceglieva da sé il prodotto dai banchi di “silenziosi” commessi. L’attrazione esercitata dall’imballaggio era diventata di primaria importanza, e parte di quell’attrazione erano i messaggi “vinci mille sterline” o “gratis un paio di calze”.

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Le Etichette, la storia – Il Design

Durante il XVII secolo i migliori prodotti della grafica commerciale provenivano dai laboratori degli incisori su rame, i quali creavano i loro eleganti disegni per etichette sfruttando materiale già esistente: tavole di libri, biglietti di invito, intestazioni di fatture dei negozianti e biglietti da visita. A confronto, il lavoro dell’incisore su legno era primitivo: la xilografia era un metodo più economico, usato in particolare per le confezione di tabacco. Va comunque detto che anche i pacchetti di tabacco erano a volte stampati con la tecnica dell’incisione su rame.

Al volgere del XVIII secolo l’abilità di Thomas Bewick (1753-1828) aveva ormai dato impulso a questa arte e, in America, Alexander Andersen (1775-1870) ne aveva seguito le orme. Nel XIX secolo, in concomitanza con la diffusione sempre più capillare della pratica dell’etichetta, anche la tecnologia di riproduzione fece costanti progressi e i disegnatori di etichette li misero a frutto. La Great Exibition, tenutasi a Hyde Park, Londra, nell’estate del 1851, stimolò molte aziende a creare qualcosa di speciale per i loro prodotti che sarebbero stati esposti agli occhi di un pubblico internazionale.

Huntley&Palmer, ad esempio, commissionarono l’ideazione di una nuova etichetta per la scatola dei loro biscotti: il risultato fu il famoso marchio di fabbrica Garter and Buckle, che rimase in uso fino agli anni ’50. Nei trent’anni successivi, l’avvento di un metodo di stampa più economico e di alta qualità trasformò la veste grafica delle etichette: finalmente venivano esplorate tutte le potenzialità dell’etichetta come forma artistica, sebbene solo in tempi recenti sia stata riconosciuta come una forma d’arte degna di studio.

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Le Etichette, la storia – Quali erano le funzioni dell’etichetta?

Innanzitutto c’era la necessità di dire cosa stava dentro l’involucro, pensiamo alle medicine o alle tipologie di gusto di una marmellata o una bibita. In secondo luogo si voleva rendere più appetibile una confezione. Una composizione grafica o un’immagine valorizzavano subito l’effetto complessivo: alcuni disegni erano a tema, proponevano cioè una situazione in cui il prodotto veniva usato; altri miravano esclusivamente a catturare l’attenzione. Presto ci si rese conto che i prodotti si vendevano meglio se esibivano un elemento di prestigio: lo stemma reale, una medaglia vinta a un’esposizione commerciale, un certificato di genuinità davano fiducia ai consumatori rispetto alla qualità. Negli anni Cinquanta del nostro secolo vene introdotto un ulteriore sistema per l’incremento delle vendite: l’incentivo diretto all’acquisto (sconti, premi fedeltà), piuttosto che la possibilità di riutilizzare il contenitore dopo l’utilizzo e la conservazione delle etichette su appositi album.

Per quanto riguarda l’etichetta in sé, da segnalare nel 1935 la prima etichetta autoadesiva; più di recente sono stati approntati numerosi materiali sintetici basati sulle proprietà della plastica, che rendono l’etichetta più resistente. In molti settori le tradizionali immagini vengono stampate direttamente sulla lattina, sulla scatola o sulla bottiglia e ciò potrebbe condurre in ultima istanza alla scomparsa della familiare etichetta di carta. Le etichette, inoltre, potevano essere applicate in vari punti della bottiglia. Ci fu un periodo in cui la bottiglia del liquore Benedictine ne esibiva cinque!

Il posto più strano dove collocare un’etichetta è probabilmente il fondo della bottiglia, ma anche questo è stato fatto: sul fondo della bottiglia dell’aceto di malto Dear Brothers c’era un’etichetta rotonda che informava chi versava l’aceto del fatto che “era conforme alle prescrizioni dei Food and Drugs Acts e a tutti i relativi regolamenti”.

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Normativa MOCA

La normativa sui MOCA è la disciplina relativa a materiali e oggetti destinati al contatto con gli alimenti ed è costituita da più regolamenti che si integrano a vicenda.

Chiamiamo MOCA tutti gli oggetti e i materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti.

I soggetti coinvolti dalla normativa sui MOCA hanno per obiettivo quello di escludere la possibilità che i materiali trasferiscano agli alimenti sostanze in quantità tali da rappresentare un pericolo per l’uomo, oltre che compromettere la composizione, l’odore e il gusto degli alimenti stessi.

Secondo la normativa sui MOCA, infatti, i produttori devono assicurare una comunicazione adeguata sull’impiego dei materiali rivolgendosi sia ai rivenditori che ai consumatori finali, attraverso l’etichettatura.

Pertanto le etichette a contatto diretto (apposte direttamente sugli alimenti) o indiretto (apposte sul packaging primario con esclusione del vetro o dell’alluminio) sono disciplinate dalla normativa MOCA dovendo garantire sia l’assoluta mancanza di passaggio di sostanze pericolose sugli alimenti che eventuali sostanze volatili che possano entrare in contatto con l’utente finale.

Per avere un’etichetta conforme MOCA si dovrà Valutare la tipologia di applicazione (contatto diretto o indiretto), la tipologia di superficie di applicazione e le condizioni di utilizzo, scegliendo la tecnologia di stampa più idonea, studiando la grafica ed effettuando preventivamente tutti i test attestanti l’assenza di trasferimento di sostanze verso l’alimento o quelle volatili verso l’utente finale.

Il regolamento  UE 2020/1245 è entrato in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, del 23 settembre 2020.

I materiali e oggetti in plastica conformi al regolamento UE 10/2011 nella versione precedente all’applicazione del regolamento UE 2020/1245, nonché immessi sul mercato per la prima volta prima del 23 marzo 2021 possono rimanere sul mercato fino a esaurimento scorte e continuare a essere immessi sul mercato fino al 23 settembre 2022.

 

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